Il progetto Libra, o la “criptovaluta di Facebook”, è agghiacciante: vediamo perché
Dopo mesi in cui tutta la stampa mainstream ha parlato del “fumoso” progetto di una criptovaluta “di Facebook”, esce finalmente il “white paper”, ossia la dichiarazione di intenti relativa a questo progetto, ufficialmente chiamato Libra.
Andiamo a vedere la filosofia del progetto.
Progetto Libra, le basi
Il white paper di Libra è molto chiaro, scritto in un inglese molto semplice da capire e anche la terminologia legata al mondo delle criptovalute è ridotta al minimo, con link a documenti più approfonditi per i dettagli tecnici.
Nell’introduzione, con un gergo paternalista che fa correre un brivido lungo la schiena, ci si duole del fatto che soprattutto nei paesi del terzo mondo la gente non abbia facile accesso al sistema bancario, e questo porti ad elevati costi di transazione (basti pensare ai costi che devono sopportare gli immigrati che vogliono mandare soldi ai loro parenti tramite i servizi di money transfer). In realtà questi problemi sono causati sia dalle regolamentazioni interne degli stati, che possono restringere la libertà di utilizzo delle banche da parte dei cittadini, sia dalle sanzioni reciproche che gli stati si impongono tra loro, allo scopo di ottenere informazioni sui clienti delle banche estere, o allo scopo di mettere in atto guerre commerciali.
La soluzione ci sarebbe, bella e pronta, ossia Bitcoin e le sue sorelle, ma i “benefattori dell’umanità” che hanno pensato Libra ritengono che l’elevata instabilità di valore di Bitcoin sia un limite alla sua adozione di massa, e che quindi ci voglia sì una moneta digitale, ma di valore stabile, ancorata ad un paniere di monete fiduciarie e titoli di stato. In realtà si è già pensato anche a questo, con le varie stable coin, ma il consesso di filantropi che sta dando vita a Libra vuole semplificarci la vita: un ecosistema facile da usare, gratuito, stabile, regolamentato dai governi e accessibile a chiunque.
I benefattori dell’umanità
Ho parlato di “benefattori dell’umanità” e di “filantropi” perché, andando avanti a leggere il documento, si scopre che Libra è una fondazione no profit, di cui oltre alla società Facebook, fanno parte le maggiori società di carte di credito e di sistemi di pagamento, come VISA, Master Card e Paypal. Per non parlare di giganti delle telecomunicazioni, come Iliad e Vodafone, e di giganti dell’ecommerce come Booking, Uber ed Ebay. Queste aziende, più altri giganti nel settore finanziario e anche nel mondo blockchain, starebbero investendo in un progetto totalmente gratuito per gli utilizzatori, e che farebbe oltretutto concorrenza ai primi tre, ossia VISA, Master Card e Paypal.
Lo riscrivo più semplicemente: i giganti dei pagamenti elettronici, starebbero spendendo soldi, in una fondazione totalmente no profit, che avrebbe lo scopo di far loro concorrenza, anzi di renderli proprio inutili.
Libra pur essendo in teoria decentralizzata, in realtà non sarà una criptovaluta “permissionless” ossia della quale chiunque può diventare un nodo della rete. Non avrà la caratteristica principale di bitcoin. I nodi saranno 100, interamente proprietari (della simpatica fondazione filantropica, ca va sans dire), ma ci promettono che entro 5 anni dall’avvio la rete diventerà “permissionless”, ma peraltro devono decidere “come”.
Libra avrà anche dei costi di gestione non indifferenti, dato che ci saranno dei depositi di moneta e titoli di stato a breve scadenza, che rappresenteranno “il sottostante” di questa criptovaluta, teoricamente convertibile in moneta a corso legale. Gli eventuali interessi sui titoli di stato detenuti in questo deposito andrebbero a remunerare i soci iniziali che stanno investendo nell’avvio del progetto, in modo anche qui ancora da definire.
Dal punto di vista degli utenti, l’ancoraggio del valore di questa criptovaluta al valore delle monete di stato, non mette gli utenti al riparo dall’inflazione, e anzi gliela fa scontare sia per quel che riguarda il valore delle maggiori valute cartacee, sia per quel che riguarda il valore dei titoli di stato che faranno parte del paniere. Già l’esperimento venezuelano del Petro, ha dimostrato come il mercato ha rifiutato una moneta totalmente statalizzata, al pari dello svalutatissimo Bolivar cartaceo, e al tempo stesso ha sancito il successo di Bitcoin, diventato un mezzo di pagamento largamente utilizzato nella disperata situazione economica venezuelana.
E anche per Libra si tratta in ogni caso di un sistema totalmente centralizzato, in cui i gestori possono sequestrare in qualsiasi momento le giacenze di qualsiasi utente, come già messo in luce, con una certa ironia, dalla comunità bitcoin che si è già messa a studiare il software di Libra.
Ma veniamo al dunque: perché i giganti del mondo dei pagamenti elettronici dovrebbero spendere denaro a fondo perduto per creare un servizio che li renderebbe inutili?
I servizi gratuiti del web
Ognuno di noi utilizza servizi web gratuiti, di cui legge accuratamente le condizioni, prima di cliccare su “Accetto” (perché le leggete sempre le condizioni, vero?). Quindi sappiamo benissimo che se utilizziamo servizi di posta gratuiti, o servizi di messaggistica gratuiti, o servizi di localizzazione gratuiti, la nostra privacy non è tutelata al 100%. Anzi accettiamo che una serie di dati venga registrata: dove andiamo, a chi scriviamo, cosa cerchiamo sul web, persino l’impronta della nostra voce. È una condizione che accettiamo in cambio dell’utilizzo di servizi gratuiti. Anche la bigotta censura di Facebook su determinate opinioni o immagini la accettiamo in cambio dell’utilizzo di questa piattaforma di comunicazione gratuita. E anche sappiamo bene che la nostra privacy non sarà tutelata al 100%.
Soprattutto non possiamo farne a meno. Chi di noi da un giorno all’altro farebbe a meno di WhatsApp, del navigatore di Google, di Facebook, di Gmail e di tutti i servizi connessi? Chi di noi sarebbe da un giorno all’altro disposto a pagare per dei servizi equivalenti, non compatibili e con una base di utenti di un milionesimo rispetto a quelli di Facebook, WhatsApp o Google?
E quindi, immaginiamo questi poveri utenti del terzo mondo, o del secondo, o del primo (ehi, dico a te che leggi), che incominciano ad usare un sistema di pagamento, gratuito, ma interconnesso a tutti i servizi dei giganti del web. Talmente comodo da non poterne più fare a meno se a un certo punto volessimo uscirne. E se a quel punto smettesse di essere gratuito? E se a quel punto fossimo costretti a non diffondere determinate opinioni per non essere bloccati non solo dall’utilizzo del nostro account Facebook ma anche dall’accesso a un servizio di pagamento che utilizziamo per ricevere il bonifico dello stipendio, pagare l’elettricità, comprare il pane e la benzina?
Oppure i giganti del web e dei servizi di pagamento stanno investendo denaro a fondo perduto solo per farci un favore?